Spesso quando una donna condivide la relazione che ha con la propria vita
sessuale mi accorgo che la tendenza è quella di focalizzare l’attenzione
esclusivamente sulla vita sessuale della coppia (se esiste) o sulla mancanza
totale di vita sessuale, nel caso in cui la dimensione di coppia non sia presente.
Riconosco che tutto questo sia limitante, in quanto crea una relazione di
dipendenza tra l’esistenza della propria sessualità e un presunto o una
presunta partner.
E’ invece di fondamentale importanza riconoscere che la sessualità è,
innanzitutto, una relazione con se stesse e che la qualità della relazione con
il/la partner non è altro che il riflesso di ciò che accade prima dentro di noi.
Il tema rientra senza dubbio tra i tabù esistenti nella nostra società, con il
risultato inevitabile di tutto ciò che comporta la repressione: un accumulo di
energia fisica e psichica che prima o poi sfocerà in qualcosa di altrettanto
proibito e che spesso perde tutto ciò che di sano e spontaneo esiste in una vita
sessuale libera di manifestarsi. Cosa può nascere dalla repressione? Non dico
nulla di nuovo affermando che il suo prodotto è una forza uguale e contraria
all’energia investita per reprimere. Pensiamo per esempio al mondo della
pornografia o alle perversioni sessuali (entrambi temi molto complessi che non
è mia intenzione approfondire in questo spazio).
Nel mio personale modo di vivere e intendere l’energia sessuale e le sue
manifestazioni, la repressione non può e non deve essere contemplata, in
quanto si tratta di aspetti naturali e parti integranti della vita; anzi, molto di
più: l’energia sessuale è la spinta attraverso la quale la vita stessa si
manifesta. Pensiamo al bulbo di un fiore che viene piantato nella terra in pieno
inverno: passa diversi mesi al buio, nel pieno rispetto dei suoi cicli, contenendo
tutte le informazioni del futuro fiore. Quella spinta creativa che lo porterà a
manifestarsi nella sua interezza in primavera è la spinta erotico-sessuale.
In maniera analoga, entrare in connessione con l’energia sessuale per una
donna significa anche connettersi con il rispetto della propria ciclicità.
Riprendendo quindi l’affermazione iniziale sull’importanza del piacere sessuale
da riconoscere e coltivare con se stesse prima ancora di entrare in relazione
con un partner, focalizziamoci su come questo risveglio possa e debba partire
dall’attenzione, dalla cura, dall’ascolto che la donna dedica a se stessa e al
proprio piacere.
Le domande significative sono: da dove parte questo piacere? Dove si
manifesta?
Nell’unica bussola esistente a nostra completa disposizione: il nostro corpo.
Questo è un concetto molto impegnativo per alcune di noi. Sento spesso dire
che il piacere è nella mente, nei pensieri, nelle costruzioni fantasiose che
avvengono e che sono spesso così elevate da lasciare la donna con “un pugno
di mosche in mano” al momento dell’incontro col reale: nulla sarà all’altezza
della fantasia che si è creata. E nulla è più lontano dalla connessione con il
proprio corpo che una fantasia fine a se stessa. Quante di noi si rispecchiano in
questa situazione? Credo faccia parte di uno dei passaggi che tutte noi stiamo
attraversando o abbiamo attraversato. Passaggi che però possono fungere da
ponti verso una successiva comprensione di sé.
Come dicevamo, il corpo è la nostra bussola. Pensiamo a quando abbiamo
fame: dove la sentiamo? Cosa sentiamo? Siamo noi a pensarci o è il corpo a
farsi sentire? Mi rendo conto che quanto sto descrivendo è di una semplicità
disarmante, ed è perché è così che funziona anche il nostro piacere: parte e si
manifesta nel corpo, grazie al corpo, attraverso il corpo. Naturalmente questo
non significa che non si possa anche arrivare a varcare la soglia della materia
per arrivare a trascenderla, giungendo ad una dimensione di piacere molto più
espansa ed inclusiva, capace di farci sentire connesse al Tutto. Ma niente di
tutto questo può avvenire se non partiamo prima dal corpo.
Il fiore di loto si schiude manifestando la sua bellezza e ha radici che affondano
nella materia che è fango. Senza le sue radici ben presenti e profonde nella
terra fangosa non esisterebbe la sua straordinaria bellezza: sarebbe come
ammirare il dipinto di un fiore di loto, o leggere diversi articoli teorici su questo
tema; ma non sarebbe sufficiente: l’esperienza incarnata, il piacere che viene
riconosciuto, sentito nel corpo non è affatto un concetto o un’idea. È anzi
qualcosa che c’è, che si manifesta senza bisogno di essere spiegato. Allo stesso
modo, la donna connessa alla propria sessualità è luminosa e oscura, creativa
e distruttiva, “connessa ai cicli vita-morte-vita, in grado di lasciar morire ciò
che deve morire perché il nuovo possa rinascere” (Clarissa Pinkola Estes,
Donne che corrono coi lupi).
Il piacere è attivato dal fuoco sacro che vive in ogni donna e che ogni donna ha
bisogno di imparare a domare ma a tenere alimentato: per non lasciare che
devasti e distrugga e per non lasciare che si spenga. Abbiamo bisogno di
diventare le migliori alleate del nostro fuoco sacro. In realtà, ciò che spesso
accade è che questo fuoco viene represso per paura. Paura del suo potere,
paura del nostro potere personale. Così, per esempio, succede che una donna,
ad esempio, dica: “stavo provando piacere, da sola con me stessa, ascoltando
della musica e respirando quando improvvisamente ho pensato che potesse
essere sufficiente così, che fosse abbastanza accontentarmi di questa breve e
moderata sensazione di piacere e, così mi sono alzata e ho interrotto”. Questo
accade molto più spesso di quanto non pensiamo: proviamo piacere, stiamo
bene con noi stesse, arriviamo sul limite di una soglia oltre la quale la relazione
con noi stesse potrebbe andare ancora più in profondità e il piacere innalzare le
nostre coscienze e noi scegliamo di fermarci e tornare indietro.
Oltrepassare quella soglia significherebbe perdere il controllo razionale su ciò
che di noi pensiamo di conoscere e aprirci a qualcosa che è tanto ignoto
quanto autentico e di nostra appartenenza. Tutte le volte che pensiamo che va
bene così, che ci accontentiamo, che non attiviamo la nostra forza interiore per
manifestare il nostro “voglio”, scegliamo di stare nella scontentezza di una
sessualità non espressa, non riconosciuta, non lasciata libera di manifestarsi.
E, conseguenza di ciò, spesso finiamo col compensare questa carenza con la
pretesa che la pienezza e la soddisfazione arrivino dall’esterno.
Connettersi al proprio piacere significa iniziare a darsi un tempo diverso da
quello esterno: un tempo che rispetti anche i ritmi più lenti; un tempo che
tenga in considerazione i silenzi, i vuoti, le risate, le lacrime, la voglia di ballare
e cantare da sole o in compagnia, quella di fare una torta senza che ci sia un
evento particolare, la delicatezza con la quale ci si mette la crema dopo la
doccia; un tempo per riordinare il proprio spazio, pulirlo, profumarlo; un tempo
per fare niente e sentirsi nel pieno della giustezza. Un tempo per un ascolto e
un rispetto profondi. Questi momenti sono diversi nell’arco della vita. Perché
diverse sono le fasi che una donna attraversa. Tutto è ciclico. Imparare a
trovare il proprio ritmo nella ricerca del piacere sessuale è un viaggio di
meravigliosa riscoperta di sé. Un viaggio che intraprendiamo per noi stesse e
che possiamo a nostra volta tramandare alle giovani donne che vengono dopo
di noi. Una catena senza fine, che è partita da molto lontano e che continuiamo
a tenere in vita, grazie al fuoco sacro che ci abita.
Che la fiamma illumini il cammino; che ogni donna impari ad alimentare e a
domare il proprio fuoco, mantenendolo sempre vivo.
Francesca
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Alessandra (lunedì, 11 dicembre 2023 21:11)
Bellissimo il messaggio del proprio tempo e del proprio ritmo!